Continuano i nostri approfondimenti sul lavoro agile con una testimonianza. Antonella Balì, dipendente della Provincia di Trento, ha condiviso con noi la sua esperienza: «Ci ho guadagnato in qualità del lavoro e in tempo dedicato alla famiglia»
I colleghi mi chiamano “l’eterna viaggiatrice”, perché ho sempre con me un trolley con i fascicoli che devo esaminare, dice ridendo Antonella Balì, smart worker da 4 anni nell’ufficio Previdenza e stipendi della scuola a carattere statale della Provincia autonoma di Trento. Antonella è una dei 51 lavoratori agili del progetto TelePat, l’iniziativa pluripremiata – di cui abbiamo già parlato – che consente a oltre 400 dipendenti dell’ente pubblico di svolgere il proprio impiego in forme alternative alla presenza fissa in ufficio. Le abbiamo chiesto com’è essere una smart worker.
Ha scelto lei il lavoro agile o le è stato proposto?
Nel 2012 la Provincia ha dato il via a TelePat: le postazioni erano poche e molti colleghi erano scettici. L’anno successivo ho fatto domanda: non c’era nemmeno bisogno di una graduatoria, proprio perché le richieste erano ancora poche. Il successo del progetto si vede anche dal fatto che ora la graduatoria c’è.
Che cosa l’attirava?
Ero part-time, lo smart working rappresentava l’unica soluzione di tornare a tempo pieno, riuscendo però a conciliare il lavoro con la famiglia. Ho 53 anni, sono sposata con due figlie ora grandi, di 23 e 18 anni: avevo la necessità di migliorare la qualità del tempo trascorso insieme. La mia settimana lavorativa mi vede 3 giorni a casa e 2 in ufficio, e organizzo la mia agenda di conseguenza.
Ha fatto della formazione prima di cominciare?
Certamente: abbiamo fatto degli incontri specifici per i telelavoratori con la Trentino school of management, perché la parte tecnica poteva sembrare semplice, ma in realtà non lo è. Abbiamo anche fatto degli approfondimenti di tipo psicologico: a molti, infatti,“può sembrare difficile superare lo shock di non avere più un rapporto continuativo coi colleghi.
Che vantaggi ha riscontrato nel lavorare “agilmente“?
Sto bene da tutti i punti di vista. A casa ho più silenzio e più concentrazione: ho triplicato il numero di pratiche portate a termine”, me l’ha detto anche il mio capufficio, perché non ho le distrazioni dell’ufficio o il contatto continuo con il pubblico. Sono comunque sempre reperibile al telefono: se i colleghi hanno un problema che investe la mia area di competenza, anche da casa riesco a risolverlo. Ho guadagnato un nuovo e migliore equilibrio con la mia famiglia. Risparmio almeno un’ora al giorno di spostamenti con i mezzi pubblici. E ho migliorato anche i rapporti sociali con il quartiere.
In che senso?
Nel senso che la flessibilità dello smart working mi consente di essere attiva nell’associazionismo, nel volontariato e nella parrocchia, partecipando a riunioni che prima erano impossibili perché incompatibili con l’orario. Io so che devo lavorare ogni giorno 7 ore e 45 minuti, ma so anche che – al di là delle fasce obbligatorie di presenza in postazione a garanzia del rapporto con il pubblico – le posso distribuire nell’arco della giornata. Se ho bisogno, posso smaltire una pratica anche di sera.
Nessuno svantaggio, quindi?
All’inizio c’è stato qualche problema tecnico, ma una volta entrati nel meccanismo, io grossi svantaggi davvero non ne ho visti. Bisogna anche dire che il sistema informatico della Provincia di Trento è molto avanzato: la piattaforma E-Work Communication mi consente di interagire coi colleghi in ufficio via webcam, e non solo al telefono. Invece, con E-Work Meeting io e le altre due colleghe in smart working possiamo partecipare alle riunioni indette dal capufficio. Sono tutti mezzi per non sentirsi isolati anche se non si è in sede.
In questi approfondimenti che stiamo dedicando allo smart working,“torna spesso il concetto di “responsabilizzazione del dipendente“. Può confermarlo?
Sì”, decisamente. All’inizio ero in ansia anche ad alzarmi 5 minuti dalla postazione per andare al bagno, proprio perché senti che devi dimostrare che a casa non perdi tempo. Poi ci si tranquillizza: in fondo anche in ufficio ci sono dei tempi morti, una pausa caffè, una chiacchiera col collega. Solo che a casa ti sembra che tutto sia sotto controllo. Per esempio, per una questione di sicurezza la legge dice che dopo 2 ore di lavoro allo schermo, si devono fare 15 minuti di pausa: uno smart worker tende a non farlo, sbagliando.
Se avesse avuto prima la possibilità di lavorare in smart working, sarebbe tornata prima al tempo pieno?
Sicuramente sì. Molte colleghe hanno il telelavoro in part-time, ma io preferisco così: è il mio equilibrio perfetto, perché ho avuto dei benefici sia nel lavoro che nella famiglia. A casa lavoro bene ed è bello tornare anche in ufficio: il rapporto coi colleghi è splendido. Inoltre, a casa le mie figlie sanno che la mamma c’è: al lavoro, ma c’è. Possiamo pranzare insieme mentre prima io andavo in mensa, per esempio. No, non cambierei più,“proprio per tutto quello che ho guadagnato in termini di qualità del tempo dedicato alla mia famiglia.”
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