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Non date il cellulare al bambino mentre mangia

da Lug 14, 2023Magazine approfondimenti

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I rischi del digitale sotto i due anni. Ecco cosa fare e soprattutto cosa non fare

Gli scienziati sono chiari: la tecnologia può influenzare e modificare il corretto sviluppo cerebrale dei bambini piccoli. L’unica speranza per i genitori è conoscere il pericolo e agire di conseguenza: non bisogna abbandonare i figli alla tecnologia, ma bisogna accompagnarli gradualmente e con certe modalità verso la tecnologia. Ne parliamo con Barbara Volpi, psicologa affermata, ricercatrice e autrice di numerose pubblicazioni scientifiche e divulgative dedicate al rapporto tra giovani e digitale ma non solo. Volpi si è laureata in Psicologia indirizzo dinamico e clinico all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Ha un dottorato in Psicologia Dinamica e Clinica.

Barbara Volpi

Rapporto tra giovani e tecnologia: com’è la situazione? Cosa la preoccupa di più?

Parto dall’immagine provocatoria che ho tracciato nel mio ultimo libro che è Docenti Digitali edito dal Mulino: un bambino oggi prima di conoscere lo sguardo dei genitori conosce lo sguardo digitale della telecamera. Molto spesso in sala parto, ma anche nel momento dell’ecografia, l’immagine del bambino viene subito catturata da una fotocamera per poi essere condivisa in rete, per esempio, nel gruppo WhatsApp di famiglia.

Già da questi momenti intimi si inizia a strutturare quello che poi è un problema: il bambino deve incontrare per prima cosa lo sguardo del genitore che lo guarda e l’aiuta ad autoregolarsi poi nella traiettoria evolutiva. Le linee guida della Società italiana di pediatria ci dicono che la zona dell’infanzia da zero a due anni deve essere una zona out dalla tecnologia, questo perché è una fase in cui il bambino impara a regolare le emozioni, a scoprirsi e a scoprire l’altro.

Se in questi momenti mettiamo l’oggetto digitale a interferire, per esempio per calmare il bambino nei momenti del pasto, come fanno tante mamme, rischiamo di compromettere questo processo di sviluppo, di scoperta e di regolazione.

Direi che manca ancora un’attenzione a questi primi momenti e anche a quella che potrebbe essere definita una nuova genitorialità digitale, attenta a queste tematiche. È vero che cresciamo in una società digitalizzata, però l’uso corretto di uno strumento deve essere insegnato: non si può dare in mano al bambino il cellulare senza stare lì con lui.

E in adolescenza?

La psicologia ci dice che dobbiamo stare attenti a livello neuroscientifico, a cosa succede a livello del cervello, all’interno dei circuiti cerebrali. In adolescenza c’è una grande necessità di dopamina e i like,  e quindi tutti gli apprezzamenti nel web, portano a un grande rilascio di dopamina. Però c’è l’altro versante: il non like, l’essere non curati, l’essere non visto che porta poi a un decremento dell’autostima.

Anche qui è necessario sensibilizzare molto gli adolescenti. Uno dei compiti evolutivi dell’adolescente è quello di staccarsi dai genitori: e il digitale, per fare questo, è uno strumento d’eccellenza. Sul web io posso stare a contatto con gli altri anche con un’immagine di me idealizzata. Però, se non abbiamo un contatto diretto con l’altro, questo diventa un boomerang: tanti adolescenti, nel momento in cui devono uscire e confrontarsi con la realtà esterna, possono crollare, proprio per via della grande fragilità emotiva che è l’elemento caratteristico di quell’età.

Cosa possono fare i genitori per rendere gestibile questo fenomeno?  Proprio i genitori spesso sono i primi ad essere condizionati da questi strumenti

Nel libro Genitori Digitali ho tracciato una traiettoria evolutiva di come accompagnare i ragazzi da 0 a 18 anni dal punto di vista della famiglia. In sintesi: ogni fase evolutiva ha delle caratteristiche specifiche e qui io mi allineo alla teoria dell’attaccamento di John Bowlby. In questa teoria e in tutta la psicologia evolutiva attuale, si dice che nella relazione con le figure che si prendono cura del bambino, il bambino struttura quelle che sono delle rappresentazioni mentali di sé stesso e dell’altro.

Ci spieghi meglio

Supponiamo che sono un bambino. Se io nelle relazioni con le persone che si prendono cura di me ho una base sicura e quindi mi percepisco come degno d’amore, nella mia testa si strutturerà un meccanismo mentale: una rappresentazione di me stesso come degno d’amore e dell’altra persona come degna di fiducia. Questa parte sicura dell’attaccamento è la base di quello che ho definito una homepage della genitorialità digitale, della famiglia connessa e non della famiglia disconnessa.

In sintesi, la famiglia connessa è quella che, assieme a tutto il lavoro che dovrebbe fare una famiglia, riesce anche a presentare un ambiente digitale al bambino. Bambino che, questo ce l’ha insegnato molto bene Maria Montessori, impara per imitazione. Quindi, per esempio, non possiamo dire al bambino o all’adolescente ”non avere il cellulare in manose noi per primi, a cena o nel momento del pasto abbiamo il cellulare in mano.

bambini con cellulari

Alcuni rituali vanno improntati in base all’età: mai addormentare il bambino con la tecnologia, sarebbe meglio leggere una favola. Bisogna presentare il digitale al bambino piano piano: se un bambino che fa i primi passi incontra la telecamera e non, diciamo, l’approvazione della mamma che lo incentiva a camminare, può essere un problema.

Come ci può aiutare la psicologia?

Siccome la psicologia ci insegna quali sono le caratteristiche e i bisogni specifici delle varie fasi di età, dobbiamo utilizzare queste informazioni. Di certo bisogna rispettare le regole all’interno della famiglia, ma sono regole dovute a uno scambio comunicativo. Un grande ruolo poi è anche della scuola e della stessa comunità intesa in senso più lato.

L’educazione digitale dovrebbe addirittura essere inserita anche nei corsi di preparazione al parto: si parla di allattamento però bisogna anche parlare di come aiutare le famiglie a far comprendere la tecnologia al bambino: con consapevolezza e spirito critico, ma anche con creatività.  Il digitale ci permette di essere molto creativi, però deve essere utilizzato bene.

Lo stesso vale per l’adolescenza. Le challenge estreme di cui ora si parla tanto ci sono sempre state, sono dovute all’esuberanza caratteristica di quest’età. Il cervello adolescenziale è un cervello in formazione. Quando vado nelle scuole e dico ragazzi, ”ma voi avete completato il vostro sviluppo? ” Loro dicono ‘’sì’’, ma la risposta giusta è “no”. Agli adolescenti manca lo sviluppo completo del cervello, che finisce a 25-30 anni. Questa parte del cervello è quella deputata alla scelta delle funzioni esecutive e quindi alla classificazione e alla programmazione. I genitori quindi devono funzionare e agire da guida per conto dei figli perché sanno che una scelta può essere pericolosa. Questo certo non possono farlo se i genitori sono loro stessi  i primi a seguire l’istinto dopaminergico dei social, dei like e dei non like.

Come vede gli avanzamenti tecnici degli ultimi anni applicati al mondo dell’educazione e collegati anche all’intelligenza artificiale di cui si parla tanto?

Ritengo che l’intelligenza artificiale non supererà mai il bisogno umano del contatto con l’altro attraverso l’empatia. Dobbiamo appunto sviluppare la nostra empatia proprio per confrontarci con l’intelligenza artificiale, che è quello che sta facendo l’intelligenza artificiale con noi: ma non ci sta arrivando ancora.

C.F.

Per approfondire vai alla rubrica Bambini e tecnologia.

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Questo articolo è stato scritto dalla nostra redazione. Kid Pass è il vostro punto di riferimento per le migliori proposte su cosa fare e dove andare con i bambini in Italia e non solo.

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