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Smart working in Italia ci sono (timidi) passi in avanti

da Smart working per genitori

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Complice la legge approvata in primavera e una maggior conoscenza, aumentano le esperienze di lavoro agile nel Paese: a trainare, ancora una volta, è il settore privato ma non le Pmi. Come rileva l’indagine 2017 del Politecnico di Milano.

La buona notizia è che lo smart working in Italia cresce. La cattiva notizia è che il 47% delle Piccole e medie imprese sono disinteressate, quando non informate, a sperimentarlo. Ed essendo le Pmi lo scheletro del settore produttivo del Paese, questo è un dato da non sottovalutare. È tuttavia ottimista l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, autore dell’annuale indagine sulla diffusione del lavoro agile divulgata l’11 ottobre: complice la legge approvata in primavera, la direttiva specifica per la Pubblica amministrazione emanata poco dopo e, in generale, una maggiore informazione e voglia di sperimentazione, nel 2017 gli smart worker in Italia sono l’8% dei lavoratori subordinati, pari a 305mila unità. Un incoraggiante +3% rispetto allo scorso anno.

Il campione della ricerca

L’indagine è stata resa nota pochi giorni fa in occasione del convegno Smart working: sotto la punta dell’iceberg: è stato fatto un sondaggio online che ha coinvolto 216 grandi imprese (con più di 250 dipendenti), 571 Pmi (con un numero di dipendenti tra 10 e 249), 289 pubbliche amministrazioni e 1.034 lavoratori. Lo smart working in Italia ormai rappresenta una realtà, si afferma nella ricerca. Il caposaldo resta il settore privato delle grandi imprese, dove una su tre include il lavoro agile fra le modalità strutturate di lavoro per i propri dipendenti; mentre fra le Pmi cresce l’interesse, anche con forme di lavoro agile informale, ma non la determinazione a sperimentare. Nella Pubblica amministrazione solo il 5% degli enti ha attivi progetti strutturati, precisano i ricercatori, ma c’è da aspettarsi che la spinta data dalla ministra Madia con la sua direttiva possa produrre qualche risultato nei prossimi mesi. In generale, si afferma nell’indagine, nel panorama italiano sempre più persone godono di una rilevante discrezionalità nella definizione delle proprie modalità di lavoro, in termini di luogo, orario e strumenti utilizzati.

Il lavoro agile nelle grandi imprese

Il 36% delle grandi aziende prevede iniziative strutturate di smart working, il 7% iniziative informali e un altro 9% ha progetti già in cantiere. In totale, insomma, il 52% delle grandi aziende italiane ha dato o sta per dare ai propri dipendenti la possibilità di lavorare agilmente. Da notare che tutte le aziende conoscono questa modalità di lavoro e solo il 7% si dichiara disinteressato a sperimentarla.
Abbiamo sottolineato più volte che lo smart working prevede un cambio dell’approccio organizzativo del lavoro, basandolo sui risultati: l’indagine dell’Osservatorio del Politecnico di Milano dimostra come ciò determini un miglioramento degli indicatori che riguardano la partecipazione del lavoratore agli obiettivi aziendali, e lo scambio di informazioni e riscontri fra subalterni e dirigenti. Da questo punto di vista, si può parlare di smart working “molto maturo“ nel 9% delle aziende.

Gli ostacoli dello smart working nelle Pmi

Solo il 7% delle piccole e medie imprese italiane prevede iniziative strutturate di smart working, il 15% iniziative informali mentre solo un altro 3% è in partenza con dei progetti. Il 53% delle Pmi considera che il lavoro agile sia inapplicabile alla loro realtà aziendale: si parla soprattutto, e prevedibilmente, di settore manifatturiero, di commercio, ricettività e del complesso delle attività che riguardano riparazioni, installazioni e costruzioni. La scommessa per il futuro è creare strumenti che consentano, ove possibile, la sua implementazione. Strumenti che siano abbordabili: il 6% delle Pmi rinuncia alla sperimentazione dello smart working, perché ritiene che l’investimento tecnologico iniziale sia troppo oneroso.

Il ritardo della Pubblica amministrazione

L’obiettivo della ministra Madia è di avere entro tre anni il 10% di dipendenti pubblici in lavoro agile: obiettivo minimo ma che rischia di essere ambizioso, come abbiamo già avuto modo di approfondire. Tuttavia, dall’indagine dell’Osservatorio emerge un incoraggiante 48% di enti pubblici possibilisti all’introduzione del lavoro agile. Fa da ottimistico contraltare a quel timido 9% di enti che già lo stanno sperimentando, in forma strutturata o informale.

Il confronto fra smart worker e lavoratori tradizionali

Il dato di fatto sottolineato dall’Osservatorio Smart Working è che i lavoratori agili tendono a essere più produttivi, perché trovano nello smart working un modo per conciliare meglio l’impiego con il tempo privato e perché, lavorando per risultati, si sentono più motivati. In media gli smart worker lavorano in azienda il 67% del tempo, contro l’85% dei lavoratori tradizionali, e il 50% si dichiara pienamente soddisfatto del suo impiego: viceversa, fra i dipendenti con postazione fissa in ufficio solo il 22% è contento di ciò che fa. Nel dinamismo dello smart working, i lavoratori agili sviluppano anche tutte quelle digital soft skill tipiche dei lavoratori autonomi o freelance, smart worker questi per natura. In particolare, osserva ancora l’indagine, il 39% degli smart worker sviluppa doti di leadership e, soprattutto, capacità a lavorare in squadra, cosa che si riscontra, invece, nel 17% dei lavoratori tradizionali.

Ambiente e produttività

Un calcolo al quale l’Osservatorio del Politecnico di Milano ci ha abituati è quanto la diffusione dello smart working può diminuire la nostra impronta ambientale. Nell’indagine 2017 si tiene conto che in media gli italiani dedicano un’ora di tempo al giorno per andare e tornare dall’ufficio. Ebbene, con un giorno di smart working a casa alla settimana, ogni lavoratore guadagnerebbe in un anno 40 ore di tempo libero e non emetterebbe 135 kg di CO2 nell’atmosfera. Anche il calcolo economico, di sicuro appetibile ai datori di lavoro, è interessante: nella ricerca si dice che se il 70% dei lavoratori dipendenti potesse svolgere il proprio impiego in modo agile, in Italia ci sarebbe un aumento della produttività pari a 13,7 miliardi euro.

Antonella Scambia

Antonella Scambia

Antonella Scambia è giornalista freelance e collabora con Kid Pass dal 2016. La curiosità è alla base del suo mestiere, curiosità che mette al servizio dei lettori nelle ricerche che conduce per scrivere gli articoli, che siano itinerari, idee per vivere la cultura in famiglia o temi legati alla genitorialità.

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