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Se un dipendente vuole provare lo smart working…

da Smart working per genitori

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Il consulente del lavoro Roberto Sartore dà qualche dritta a chi vuole chiedere in azienda di sperimentare il lavoro agile: ecco per quali impieghi e in quali modalità può funzionare.

Rispettare la strumentazione aziendale e gestire bene il proprio tempo: secondo Roberto Sartore, consulente del lavoro, è questa la regola base che un dipendente deve dimostrare di saper seguire per poter proporre al proprio capo lo smart working. Modalità di lavoro, ne è convinto, riuscirà a diffondersi perché ci sono dei settori che hanno tutto da guadagnare da questa forma di flessibilità.

Nell’appuntamento precedente con i nostri approfondimenti sul lavoro agile, abbiamo visto che per far decollare in Italia lo smart working serve un cambiamento di mentalità da parte, soprattutto, degli imprenditori. Superare, cioè, quella diffidenza derivata dal non “vedere“ il dipendente in ufficio. Abbiamo quindi chiesto a un consulente del lavoro delle dritte che i dipendenti, anche in virtù della nuova legge, possono adottare per proporre in modo intelligente al datore di lavoro lo smart working. Ecco quel che Roberto Sartore ha condiviso con Kid Pass.

Innanzi tutto, quali sono le mansioni che si possono svolgere in smart working?
Tutte le mansioni impiegatizie di tipo amministrativo e giuridico: il lavoro che si svolge in ufficio può essere svolto tranquillamente anche in altra sede. Certo, ci sono alcuni adempimenti che richiedono la presenza in azienda, ma il lavoro agile nasce proprio per questo: per dividere il tempo del lavoro fra l’ufficio e, per esempio, casa propria.

è vero che è più semplice proporlo in grandi aziende piuttosto che in piccole realtà?
è vero fino a un certo punto. Le porto il mio caso: nel mio studio, che è un normale studio professionale, abbiamo adottato telelavoro e smart working ancora prima che si cominciasse a parlarne nelle normative. Ho detto alle mie dipendenti: Sapete com’è il lavoro e le scadenze che ci sono: a me interessa che le cose siano fatte e che ci sia qualcuno in studio. Mai fatto scelta migliore: si sono organizzate fra di loro e gestite lavoro, famiglia e figli in modo esemplare e in totale autonomia. Perché per le donne, quando si parla di flessibilità, si parla soprattutto di questo: di consentire loro di gestire i figli senza sensi di colpa nei confronti loro e del lavoro.

Quindi il lavoro agile si può adottare tranquillamente anche in piccole realtà?
Sì, ma non in realtà piccolissime: nei contesti con uno-due dipendenti è difficile che il datore di lavoro possa accettare lo smart working. Non impossibile, comunque: vanno trovati degli accordi cuciti su misura. La norma che è stata fatta dà tutto il margine possibile affinché datore di lavoro e lavoratore possano trovare un punto di incontro.

Cosa deve garantire il lavoratore? Come deve porsi?
Indubbiamente come primo requisito deve esserci un rapporto di fiducia. Poi il lavoratore deve assicurare che la strumentazione aziendale che gli viene data per lavorare agilmente – portatile, smartphone o tablet – sia usata in modo corretto e, si auspica, esclusivamente per svolgere il proprio compito. Non è che con il computer o il telefono aziendali uno possa consentire ai figli di guardare i cartoni animati su Youtube o giocare a qualche app. Né dovrebbe collegarsi a siti che possono essere potenzialmente veicolo di virus: gli strumenti, infatti, contengono dati aziendali che possono essere di più o meno valore in base alla realtà in cui si lavora. Poi, il lavoratore deve gestire bene il proprio tempo, per una questione di sicurezza.

Cosa significa?
Il titolare dell’azienda è responsabile della sicurezza e della salute dei propri dipendenti, per ciò in cui essa è legata al lavoro. Se un dipendente mi chiede di lavorare in smart working e poi scopro che fa le notti al computer, perché non è stato in grado di gestire il tempo lavorativo fuori dall’ufficio, il giorno dopo non sarà produttivo come mi aspetto e ne va della sua salute. L’autonomia data dal lavoro agile può essere un’arma a doppio taglio: bisogna saperla usare.

La ricercatrice Ida Gasparetto, con cui abbiamo parlato nell’articolo precedente, indicava come critica la voce della legge sullo smart working che fa riferimento al potere di controllo del titolare, perché fa saltare il rapporto di fiducia necessario a questa modalità di lavoro. Lei cosa ne pensa?
In realtà il potere di controllo è già limitato nelle aziende per una questione, regolamentata dalla giurisprudenza, di privacy: un datore di lavoro può, per esempio, inserire dei blocchi nei computer per evitare che i dipendenti navighino in alcuni siti in Internet, questo per inibire usi non professionali degli strumenti, ma non può leggere la posta elettronica, controllare le telefonate etc. Diciamo che è meglio stabilire già nell’accordo iniziale quali debbano essere orari e modalità di verifica del lavoro svolto: il confronto costruttivo fra le parti è la prima strada per la buona riuscita del lavoro agile.

Antonella Scambia

Antonella Scambia

Antonella Scambia è giornalista freelance e collabora con Kid Pass dal 2016. La curiosità è alla base del suo mestiere, curiosità che mette al servizio dei lettori nelle ricerche che conduce per scrivere gli articoli, che siano itinerari, idee per vivere la cultura in famiglia o temi legati alla genitorialità.

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