Mai come negli ultimi mesi, da quando è scoppiato il conflitto in Ucraina, mi rimbomba in testa l’urgenza, quanto mai problematica, di affrontare il discorso sulla guerra con mio figlio e con i bambini e le bambine che incontro nel mio lavoro. Non sono solito leggere libri su determinati temi per spiegare la realtà di un dato momento, quello che a me interessa è fare da ponte tra le storie, le buone parole, le belle figure e l’infanzia. Ci sono alcuni macro-temi, però, che nascono dalle domande dei bambini: l’amore, la vita, la morte, la pace, la guerra… Queste domande i bambini amano ritrovarle in un libro. Non le risposte, non le soluzioni ma un continuo interrogarsi, quasi filosofico, sulla complessità della vita, luci e ombre comprese.
Questo articolo nasce dall’idea di suggerire libri che parlino della pace e invece partirò dalla guerra. Perché? Perché di pace parlano tutte le buone storie, se ci pensiamo bene. Leggere insieme ai nostri bambini è un dono d’amore e la letteratura è un invito alla pace, invito a vivere le vite degli altri, sentire come sentono gli altri da noi. Mi piace pensare alla letteratura come ponte di pace, sul sentiero tracciato per tutti noi da Jella Lepman nel secondo dopoguerra, sentiero tracciato ancora oggi da Ibby (vedi Ibby Italia).
C’è poi una ragione più triste, legata al concetto di pace mai disgiunto da quello di guerra. La pace arriva sempre dopo la guerra, anche se vorremmo fosse diverso, che fosse una buona pratica quotidiana per prevenirlo, ogni maledetto conflitto armato. E allora proviamoci a raccontare la guerra, facciamolo con storie a misura di bambini anche molto piccoli. Leggiamo i motivi che portano ai conflitti, discutiamone insieme oppure lasciamo sedimentare dubbi e nuove domande dopo una buona storia.
Partiamo dalla domanda più importante di tutte: perché?
Perché esiste la guerra? Perché gli uomini si uccidono fra loro? Perché non può esistere pace finché non si rompe il circolo vizioso della violenza?
A queste domande risponde senza parole Nikolai Popov nel suo capolavoro “Warum?”. Cito il libro dall’edizione Neugebauer Verlag del 1995 perché è un silent book e così dovreste leggerlo. L’unica edizione italiana che potrete trovare solo in biblioteca, “Perché?”, pubblicata da Nord-Sud nel 2000, ha aggiunto un testo, seppur breve, che non ha a mio avviso senso di esistere. La forza di questa storia sta proprio nel raccontare solo per immagini il significato profondo di ogni guerra e può essere colto da bambini molto piccoli.
Inizia già nei risguardi con a destra un ranocchio che sta godendo il profumo di un bel fiore, suo e solo suo. Nella doppia col titolo vediamo, a sinistra, sbucare la punta di un ombrello dalla terra. Esce un topo che subito dopo aver visto il ranocchio gli si lancia addosso. Vuole quel fiore, costi quel che costi! Se ne impossessa e scappa ma subito arrivano ranocchi più grandi che non solo riprendono il tolto ma raccolgono tutti i fiori intorno e li mettono dentro l’ombrello abbandonato. E già vediamo da lontano arrivare uno stivalone armato guidato da topi per niente arresi. Ormai ai fiori non fa caso più nessuno, tutti rispondono agli attacchi sempre più feroci, alle armi sempre più numerose e potenti. È la guerra! E la guerra distrugge tutto, non fa vinti e non fa vincitori. Restano seduti sulle macerie un ranocchio con un ombrello rotto e un topo con un fiore morto. Si guardano e sembra che vogliano dirsi “Perché?”.
Forse Popov si è ispirato, per questa sua parabola senza parole ma assordante, al poema anticamente attribuito a Omero “Batracomiomachia”, conosciuto anche come “La battaglia delle rane e dei topi”. Un’intensa versione del poema è stata pubblicata da L’Ippocampo Ragazzi nel 2018, adattata e illustrata da Daniele Catalli.
Ecco la storia di un solo giorno. Quello in cui i topi marciarono contro le rane!
Qui il conflitto si scatena da un incidente, l’incontro tra Rubabriciole, figlio di Rodipane, re di tutti i roditori, e Gonfiagote, sovrano del Regno delle rane. Rubabriciole, assetato, vorrebbe bere da uno stagno la cui proprietà viene orgogliosamente declamata da Gonfiagote il quale permette comunque al topo di bere e lo invita finanche a scoprire il suo regno, accompagnandolo sul dorso. Purtroppo il roditore annega, la voce arriva al padre sovrano e presto arrivano le dichiarazioni di guerra.
Cosa sono le rane se non esseri immondi? A metà strada tra i pesci e gli animali terrestri, quelle mangiafoglie mollicce sono buone solo a saltellare e a turbare il sonno degli abitanti dello stagno con il loro odioso gracidio […] Non sono come noi! Come possiamo essere amici, essendo tanto diversi?
“GUERRA! MORTE ALLE VISCIDE! VENDETTA!”
Gonfiagote, non più disposto al dialogo, incita i suoi:
“Mostriamo il nostro coraggio a quei musi grigiastri, ne va del nostro onore. L’onore della Rana!”
Godilacqua, la rana più saggia cerca di farlo ragionare:
“Topi e rane sono uguali di fronte al Grande Sonno”
“SCORRA IL SANGUE! MORTE AI SOZZONI!”, urlano le rane mentre Gonfiagote raduna il suo esercito.
Niente, quando infuria la guerra nessuno più ascolta la ragione, lo sappiamo bene, no?
E la furia della guerra viene raccontata dalle illustrazioni e dalle parole, molto esplicite, cruente: capi mozzati, cuori trafitti, ventri squarciati. Il racconto qui è chiaramente rivolto a bambini più grandi, sempre accompagnati da un adulto. Un duello finale tra la saggia Godilacqua, che vorrebbe evitare altre morti, e il topo Scavacacio, ci ricorda ancora una volta che in guerra non vince nessuno.
Dello stagno e delle terre, fonti di vita e di cibo per tutti, non restano che fango, piante divelte, corpi in putrefazione, marciume e veleni.
Mi sembra evidente già con questi due esempi quanto la letteratura per l’infanzia riesca a esplicitare un fatto fondamentale nei primi discorsi con i bambini: la guerra, ogni guerra, non ha senso. Poi gradualmente si potrà approfondire, ovviamente, la complessità di questo tema, con narrazioni che lavorano più sulle sfumature, sulle motivazioni politiche, sulle ragioni concrete che scatenano i conflitti, ma questa è un’altra storia, per lettori più grandi, e ne accenneremo tra un po’.
Prima di passare a delle storie in cui il focus non è più sul conflitto ma sulla sua risoluzione pacifica vorrei lasciarvi ancora uno stimolo sulla guerra, citando un altro racconto che si lega bene ai precedenti, “Re Tigre”, scritto da James Thurber (testo del 1927), illustrato nell’edizione pubblicata da Else Edizioni nel 2014 da Joohee Yoon e tradotto da Damiano Abeni.
Un bel mattino, nella giungla, il tigre si svegliò e corse a dire alla moglie: “Io sono il re degli animali!”
Eccolo, un altro egocentrico fanatico del potere! Un ribelle che sfiderà il re leone Il re è morto, viva il re!
Lo scontro fu terribile, atroce, durò fino al tramontar del sole. / Vi parteciparono tutti gli animali della giungla, chi dalla parte del tigre… chi da quella del leone.
Nel lontano, burrascoso 1927, il desiderio di guerra era forte, era invasivo, contagioso, irrazionale. E infatti gli animali di Thurber a un certo punto non sanno più nemmeno per chi combattono, se per il vecchio ordine o l’ordine nuovo. Risultato? Le illustrazioni ci mostrano, al sorgere della luna, “una giungla dove regnava un silenzio di tomba”. Sono tutti morti tranne il tigre.
Era il sovrano assoluto del luogo, ma non sembrava importare granché
Già, non sembrava importare granché…
Facciamo un salto con l’immaginazione adesso.
Mettiamoci nei panni di uno qualsiasi dei poveri animali scesi in guerra nei racconti precedenti. Al posto degli animali immaginiamo però un bambino, un ragazzino, un soldatino.
Un soldato bambino ce lo racconta molto bene Cristina Bellemo nel suo “Il soldatino”, illustrato da Veronica Ruffato e pubblicato nel 2020 da Zoolibri. Lascerò che alcuni passaggi riassumano la storia.
Il soldatino aveva l’uniforme. E il fucile in spalla,
I suoi confini erano: a nord la testa e l’elmetto.
A sud i piedi con gli anfibi.
A est la mano sinistra che stringeva una bomba a mano.
A ovest la mano destra per sparare.
Il soldatino pensava.
Pensava un pensiero solo,
grande come tutta la sua testa: la guerra.
Una sera nevicava, in fondo vide polvere di luce.
“UNA BOMBA!” pensò. Ma poi giunse a una casa. Il soldatino bussò. Non aveva mai bussato in vita sua. Solo sfondato porte.
Per la prima volta nella sua vita / il soldatino abbassò la guardia. / Smise di combattere. / Prima di addormentarsi un pensiero piccolo / come quella casa piccola gli venne nella testa. / E per la prima volta non era la guerra.
E siccome non era la guerra, il soldatino pensò che era la pace.
Non commenterò oltre il testo di Cristina Bellemo che danza e lotta allo stesso tempo con le illustrazioni di Veronica Ruffato. Dirò soltanto che mi sembra questa danza di pace un magnifico invito a bussare alla porta dell’altro invece di distruggerla. Perché forse è proprio nell’incontro con l’altro che si possono costruire ponti di pace.
Un ponte bambino molto famoso in questo senso è quello narrato da Max Bolliger (con parole) e Štěpán Zavřel (con immagini) ne “Il ponte dei bambini”, ristampato nell’aprile 2022 da bohem press Italia (pubblicato per la prima volta alla fine degli anni Settanta del secolo scorso).
Sulle sponde di un fiume vivevano un tempo due contadini. Uno abitava sulla riva sinistra e l’altro sulla riva destra. Il sole sorgeva al mattino su una riva e tramontava alla sera sulla riva opposta. Le anatre e i cigni nuotavano felici nel fiume inseguendo il sole da una sponda all’altra. / I due contadini, invece, erano invidiosi uno dell’altro. Quello che viveva sulla riva sinistra avrebbe preferito vivere sulla riva destra e quello che viveva sulla riva destra avrebbe preferito vivere sulla riva sinistra
Ci risiamo, ancora un conflitto nato dal possesso e dall’invidia. Per fortuna esistono i bambini e le bambine, come i due piccoli protagonisti di questa storia immortale. Un bambino sulla pagina/sponda sinistra, una bambina sulla pagina/sponda destra del libro/fiume. Sì, un libro fiume, anzi un libro PONTE, come quello che i due bambini alla fine riusciranno a far costruire insieme alle due famiglie prima divise.
Costruiamo adesso un ponte tra il capolavoro di Bolliger e Zavřel e un libro più recente, “Città Blu Città Gialla”, una storia che arriva dalla Croazia, scritta da Ljerka Rebrović e illustrata da Ivana Pipal (traduzione di Rita Dalla Rosa, Terre di Mezzo 2017).
Il fiume scendeva dalla montagna, attraversava le colline e, lungo il suo corso, passava tra la Città Blu e la Città Gialla. Un vecchio ponte di legno scavalcava il fiume e collegava gli abitanti delle due città. I bambini di entrambe le sponde giocavano insieme, i genitori andavano perfettamente d’accordo
Anche qui un fiume, due realtà diverse (inizialmente in armonia) e dei bambini. Un ponte c’è già ma è trascurato, dev’essere ridipinto. I bambini vorrebbero un bel colore vivace e l’idea piace ai grandi. C’è solo un problema: gli abitanti della Città Blu vogliono dipingerlo di blu, quelli della Città Gialla di giallo. Il malumore si insinua negli animi, il ponte viene dipinto metà di blu, metà di giallo. Ma sembra non bastare, gli abitanti della Città Blu pitturano di blu tutta la città e lo stesso fanno gli altri. Nelle due città, che di monocolore avevano in realtà solo il nome e anzi erano famose l’una per i variopinti ombrelli e l’altra per le scarpe, ora esistono solo ombrelli blu e scarpe gialle. E c’è ancora in sospeso la questione del ponte. Gli adulti, questi dannati stupidi adulti, scatenano una lite con barattoli di vernice dei rispettivi colori.
Nella mischia diventano tutti verdi e qui non posso che ricordare un abbraccio famoso nella storia della letteratura per l’infanzia, quello raccontato da Leo Lionni in “Piccolo Blu e Piccolo Giallo”. In Lionni da un abbraccio nasce il verde, nella nostra storia il verde nasce da un conflitto. Interessante corto circuito tra i due libri, no?
Come risolvere la disputa? Se non possono gli umani ci penserà la natura. Una magnifica pioggia rimescola tutti i colori e le due città ritornano variopinte come prima. Manca ancora la pace… Poi, un giorno:
Si incontrarono sul ponte, questa volta non per picchiarsi ma per scusarsi. E decisero di ridipingere il ponte di tutti i colori possibili e immaginabili
Siamo giunti quasi alla fine di questo viaggio nelle storie, tra guerra e pace, tra pace e guerra.
Abbiamo visto storie con figure e parole, creando ponti tra esse. E chi meglio di Gandhi per parlare infine di un uomo realmente vissuto che ha fatto della pace come ponte la propria missione di vita, scolpendo e ridipingendo per sempre il concetto di lotta pacifica nei nostri cuori?
Da poco pubblicato da San Paolo Ragazzi vi lascio con “Gandhi”, romanzo di Chiara Lossani. L’insegnamento di Gandhi viene narrato attraverso sette incontri, sette voci di ragazzi e ragazze che incrociano sul loro cammino il Mahatma, la Grande Anima, Mohāndās Karamchand Gāndhī. Non solo sette sguardi diversi ma anche sette diversi periodi nella vita dell’immortale promotore della lotta non violenta, lotta oggi quanto mai “inattuale”, purtroppo, sfida oggi più che mai urgente.
Questa notte ho sentito la voce della Verità, amici! Mi ha detto che l’odio non può essere sconfitto con l’odio. L’odio può essere sconfitto solo con l’amore
La nostra è una resistenza attiva, è una non violenza dei coraggiosi, non è dei codardi! Se la parola non esiste, la inventeremo! Dovrà dare agli indiani e al mondo l’immagine che la nostra è una guerra contro le leggi ingiuste, una guerra, sì, ma senza violenza
Considero me stesso come un soldato, ma un soldato della pace. Noi non ricorreremo mai alla violenza
Dal 1893 in Sud Africa, Gandhi avvocato appena ventiquattrenne, ai primi anni del Novecento con la creazione dell’ashram insieme alla moglie e ai tre figli, la nascita del giornale Indian Opinion, la consacrazione della lotta non violenta che diventa Satyagraha “Forza che deriva dalla Verità e dall’Amore”, la prima grave incarcerazione. Dal 1930 in India al 1931 nel Regno Unito, tra nuove lotte scandite dalla Marcia del Sale e tragiche morti negli scontri con le autorità inglesi fino alla Conferenza di Londra. Ultima parte dedicata agli anni indiani, dall’Indipendenza del 1947 nata sulle macerie della divisione dal Pakistan al lungo e coraggioso digiuno di Gandhi contro i massacri tra indiani e pakistani. E infine il 1948, Dehli, Birla House, 30 gennaio ore 17.17: Nathuram Godse, estremista indù, progetta la morte del Mahatma.
Questi i tempi e i luoghi della grande Storia che sapientemente Chiara Lossani fa confluire dentro le piccole grandi storie di: Khoi, per la prima volta nella vita trattato da Gandhi con rispetto e gentilezza; Laxmi che da lui riceve i suoi primi sandali ma soprattutto un sogno per il futuro; Seth e Kedar che narrano la prima grande protesta contro la legge che discrimina; Srinivasa che piccolo piccolo diventa grande durante la storica Marcia del Sale; Vittoria che dall’incontro con un Mahatma molto provato, a Londra, impara il vero significato della parola libertà; Sushila che nel giorno in cui l’uomo diventò martire scopre l’amore che nasce dal sacrificio.
Mi piace molto quest’idea narrativa dell’incontro tra Storia e quotidianità dell’infanzia e dell’adolescenza, mi sembra un buon modo per fare esperienza della Pace, attraverso parole e azioni, ma soprattutto, come sempre nella buona letteratura per bambini e ragazzi, dentro le domande, come quelle del piccolo Srinivasa:
Io avevo capito che per Gandhi i discorsi non erano qualcosa di astratto, o di utile solo a convincere gli altri. Lui era ciò che pensava e diceva. E con le parole e i pensieri era diventato ciò che aveva voluto. Io, invece, chiesi a me stesso, che cos’ero? Che cosa pensavo? E che cosa volevo diventare?
Contenuti extra (oltre i libri e oltre i temi):
1)
“Evitare i conflitti è opera della politica: costruire la pace è opera dell’educazione” (Maria Montessori)
“La carovana dei Pacifici. Percorso di riflessione per pensare e giocare la pace” di Luciana Bertinato, Emanuela Bussolati, Roberto Papetti, Carthusia 2020.
2)
“Abc dei popoli” di Liuna Virardi, Terre di Mezzo Editore 2016.
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